La mozzarella è un latticinio a pasta filata originario della Campania, prodotto da secoli anche nel resto del Sud e nel Centro Italia. Viene consumata soprattutto al naturale; a volte è accompagnata da prosciutto crudo, altre volte condita con olio o utilizzata in insalate: tipica la caprese, con pomodori, origano, basilico e un filo di olio extravergine d’oliva. La mozzarella è inoltre molto usata su pizze, calzoni, panzerotti, cresce e in moltissime altre ricette, tradizionali come le melanzane alla parmigiana e la mozzarella in carrozza, o anche innovative, come le mozzarelline impanate e fritte. La mozzarella, in tutte le sue varietà, si consuma non oltre cinque giorni dalla produzione.
Oggi la sua produzione è diffusa in vari paesi del mondo. Viene preparata con latte bufalino oppure con latte vaccino, assumendo per legge le seguenti denominazioni. Mozzarella di bufala campana (mozzarella di latte bufalino a denominazione di origine protetta); mozzarella di latte di bufala (mozzarella di latte bufalino che non ha la denominazione di origine protetta); mozzarella (senza ulteriori specificazioni) o mozzarella di latte vaccino o fior di latte (mozzarella di latte vaccino); mozzarella di bufala e mozzarella bufalina (denominazioni non consentite dalla legge). La mozzarella deve il suo nome all’operazione di mozzatura compiuta per separare dall’impasto i singoli pezzi durante la lavorazione artigianale, come testimonia anche la sua antica denominazione: mozza.
Le origini della mozzarella si perdono nel tempo e gli autori non sono d’accordo sull’epoca in cui fu inventato questo latticino; certamente esso ha una storia ultramillenaria e, a causa della necessità di consumarla freschissima, la mozzarella, sino l’avvento delle ferrovie, era prodotta in piccole quantità ed era consumata esclusivamente nei pressi dei luoghi di produzione. Riportiamo di seguito le ipotesi e le tappe principali. La prima testimonianza storica, sulla vocazione casearia di queste zone ci viene da Plinio il Vecchio il quale, nella Naturalis Historia, cita il “laudatissimum caseum del Campo Cedicidio”, zona identificabile con l’attuale Basilicata compresa tra Metaponto ed il fiume Bradano; doveva trattarsi quasi certamente di formaggi ottenuti da latte vaccino. Questa stessa vocazione trova successivamente riscontro in un documento conservato presso l’Archivio Episcopale di Capua, e risalente al XII secolo, nel quale, come ci spiega monsignor Alicandri autore dello studio, compare per la prima volta il termine “mozza” in riferimento all’usanza dei monaci del monastero di S. Lorenzo in Capua, di rifocillare i pellegrini con pane e mozza o provatura.
La peculiare natura di latticinio fresco, quindi facilmente deperibile, ne impedì la diffusione, almeno fino alle soglie del Rinascimento, e ciò a favore di latticini maggiormente conservabili, e dunque commerciabili, come le provature, di cui si trovano ampie tracce nei ricettari di epoca medioevale. Bisognerà attendere l’Opera di Bartolomeo Scappi affinché la mozzarella faccia la sua prima comparsa in un ricettario; sarà in fine Gian Battista Crisci, nella Lucerna de Corteggiani ad illustrarne le peculiari qualità gastronomiche. Nel XV secolo nelle Marche l’uso della mozza è molto comune, come si apprende da un documento del 1496 che la cita tra gli alimenti normalmente presenti sulle tavole dei nobili anconitani. Un importante documento scritto del XVI secolo (1570) testimonia l’uso della mozzarella anche a Roma, nella mensa del papa: un cuoco della corte, il già citato Bartolomeo Scappi, la cita (per la prima volta con il termine ancor oggi usato) nell’elenco dei formaggi comunemente serviti. Nei primi anni del Novecento oramai l’uso della mozzarella è così diffuso che, in Italia centrale, la si produce anche nelle piccole latterie cittadine e poi consegnata porta a porta insieme al latte fresco.
Oltre che da solo latte di bufala o solo latte vaccino, questo latticinio si può ricavare anche da latte misto ossia miscelato: in questo caso, i produttori sono tenuti a specificare le varie percentuali di latte bufalino e vaccino contenute adeguandosi alla legge che impone di apporre sull’etichetta il solo nome generico mozzarella, seguito dalla lista degli ingredienti. Altre qualità sono quelle di solo latte pecorino e solo latte caprino: la variante pecorina è tradizionalmente preparata in certe zone, mentre quella caprina è di origine recente. Esiste anche la variante definita da pizza, che è riconosciuta da una norma legale; deve contenere meno acqua e grasso: 15-20% contro il 20-25% di quella da tavola. La mozzarella è prodotta nelle tipiche forme tonde e sferoidali più o meno appiattite, in varie pezzature, ossia dal bocconcino di 80-100 grammi alle forme da mezzo chilo e più: certi pezzi da latte bufalino arrivano a 5 chili; altre forme sono quella a treccia e, recentemente, a rotolo; esiste anche in versione affumicata. Di produzione esclusivamente industriale, è la pezzatura a ciliegina. In Molise (in particolare a Bojano) e in Puglia viene prodotta anche nelle tipiche forme a fiaschetto.
La produzione di mozzarella bufalina è tutelata dal marchio DOP in Campania (nel casertano, specie nella Terra di Lavoro e nel salernitano, particolarmente nella Piana del Sele e nell’Agro Nocerino Sarnese), nella zona meridionale del Lazio (province di Latina, Frosinone e Roma), in Puglia (provincia di Foggia) e nel Molise (a Venafro). Per la produzione si usa esclusivamente latte bufalino di bestiame allevato in zona e un particolare procedimento di lavorazione. Oltre che nelle zone citate, la mozzarella bufalina è lavorata in quasi tutto il territorio italiano, anche fuori dall’area di produzione DOP; gli allevamenti di bufale sono ovunque in costante aumento. La mozzarella vaccina è detta anche fior di latte e, in Italia, è prodotta soprattutto in Campania, Puglia, Calabria, Basilicata, Marche, Lazio meridionale, Abruzzo e Molise. Come per altri formaggi a pasta filata, nella produzione della mozzarella si utilizza un notevole riscaldamento. Estratta la cagliata, si scalda una parte del siero a 50° C e lo si versa sulla cagliata. Questa operazione si ripete dopo 15 minuti alla temperatura di 60° C, quindi si lascia riposare per favorire l’acidificazione. La cagliata viene poi “filata”, ovvero tagliata a fette lunghe e sottili, le quali sono immesse in acqua a 90° C. Quindi si procede alla lavorazione a mano per ottenere le forme desiderate. Ci vogliono dieci litri di latte per produrre un chilo di mozzarella.